Nel mare burrascoso della Direttiva SUP

22 Giugno 2021
Tempo di lettura 5 minuti

Da luglio la plastica monouso sarà messa al bando. Cosa cambierà?

Cos’è la Direttiva SUP?

Con Direttiva SUP (Single Use Plastics) si intende la Direttiva UE 2019/904.
L'obiettivo la riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente, soprattutto quello acquatico, e sulla salute umana.
L’arduo traguardo è la transizione verso un’economia circolare con modelli imprenditoriali, prodotti e materiali innovativi e sostenibili.
Si stima infatti che in Europa circa l’80% dei rifiuti marini rinvenuti sulle spiagge sia plastica. Più precisamente, il 50% è costituito da monouso ed il 27% da oggetti in plastica collegati alla pesca.
Perciò la direttiva si applica ai prodotti di plastica monouso (con alcune eccezioni), ai prodotti di plastica oxodegradabile e agli attrezzi da pesca contenenti plastica. (L’elenco dettagliato nella Parte A dell’allegato).
Tali misure intendono produrre entro il 2026 una riduzione quantificabile del consumo dei prodotti di plastica monouso. 

Quali i prodotti di plastica monouso vietati dalla direttiva SUP?

Prima di tutto, cosa si intende per prodotto di plastica monouso? “Il prodotto fatto di plastica in tutto o in parte, non concepito, progettato o immesso sul mercato per compiere più spostamenti o rotazioni durante la sua vita essendo rinviato a un produttore per la ricarica o riutilizzato per lo stesso scopo per il quale è stato concepito”.
Dunque, dal 3 luglio, non potranno più essere immessi sul mercato:

  • bastoncini cotonati;
  • posate;
  • piatti;
  • cannucce;
  • agitatori per bevande (le palette per mescolare);
  • aste da attaccare a sostegno dei palloncini;
  • contenitori per alimenti in polistirene espanso, ossia recipienti quali scatole con o senza coperchio, usati per alimenti:
    a) destinati al consumo immediato, sul posto o da asporto;
    b) generalmente consumati direttamente dal recipiente;
    c) pronti per il consumo senza ulteriore preparazione, per esempio cottura, bollitura o riscaldamento. Sono compresi i contenitori per alimenti tipo fast food o per altri pasti pronti per il consumo immediato, ad eccezione di contenitori per bevande, piatti, pacchetti e involucri contenenti alimenti;
  • contenitori per bevande in polistirene espanso e relativi tappi e coperchi;
  • tazze per bevande in polistirene espanso e relativi tappi e coperchi.

Contestualmente, gli Stati membri dovranno adottare misure per la riduzione al consumo di:

  • tazze per bevande, inclusi tappi e coperchi;
  • contenitori per alimenti, ossia recipienti quali scatole con o senza coperchio, usati per alimenti: 
    a) destinati al consumo immediato, sul posto o da asporto; 
    b) generalmente consumati direttamente dal recipiente; 
    c) pronti per il consumo senza ulteriore preparazione, per esempio cottura, bollitura o riscaldamento, compresi i contenitori per alimenti tipo fast food o per altri pasti pronti per il consumo immediato, ad eccezione di contenitori per bevande, piatti, pacchetti e involucri contenenti alimenti.

Recepimento della Direttiva SUP negli Stati membri

La Direttiva SUP Europea ha già due anni di vita, ma soltanto adesso ne sentiamo parlare con attenzione crescente. Perché? Semplice, perché entro il 3 luglio 2021 gli Stati membri dovranno mettere in atto le misure sopra elencate. 
Nello specifico, a luglio dovranno essere applicate le misure per l’articolo 5 della Direttiva (cioè le restrizioni all’immissione sul mercato). 
Negli anni successivi, gli Stati membri dovranno anche adottare le misure necessarie ad assicurare la raccolta differenziata per il riciclaggio e misure di sensibilizzazione ai consumatori per scongiurare la dispersione dei rifiuti, oltre che i regimi di responsabilità estesa del produttore, i requisiti di marcatura dei prodotti, etc.

I paradossi della Direttiva SUP Plastic Free

L’obiettivo della Direttiva, almeno su carta, sembrerebbe essere chiaro: ridurre/abolire la plastica monouso. Ma, la domanda è legittima, quale plastica?
Qui nasce il primo grosso problema. Nelle linee guida della Commissione Europea le bioplastiche sono equiparate alle plastiche convenzionali - a meno che non si tratti di "polimeri naturali non modificati " - in quanto "non sono disponibili standard tecnici ampiamente condivisi per certificare che uno specifico prodotto plastico sia biodegradabile in ambiente marino in un breve lasso di tempo e senza causare danni all'ambiente”. Dunque tutti i tipi di plastica (monouso) sono equiparati: plastica biodegradabile, bioplastica e compostabile sono considerati (e messi al bando) allo stesso modo.

>>> Biodegradabile e compostabile: le differenze <<<

Ma siamo sicuri che una bottiglia in plastica, che impiega 450 anni per degradarsi, equivalga ad un prodotto in PLA, che si decompone in qualche mese? E ancora, che un prodotto compostabile, che cioè diventa compost entro qualche settimana, possa essere pericoloso e dannoso per l’ambiente al pari dei suoi simili in plastica derivante da fonti fossili? 

L’Italia recepisce la Direttiva con la seguente specifica: ove non sia possibile l'uso di alternative riutilizzabili ai prodotti di plastica monouso destinati ad entrare in contatto con alimenti elencati nella parte B  dell'allegato alla  direttiva  (UE) 2019/904,  prevedere  la  graduale  restrizione all'immissione  nel mercato dei medesimi nel  rispetto  dei  termini  temporali  previsti dalla suddetta direttiva (UE)  2019/904, consentendone l'immissione nel mercato qualora  realizzati in plastica  biodegradabile e compostabile certificata conforme allo standard europeo  della  norma UNI  EN  13432 e con percentuali crescenti di materia prima rinnovabile.
Proprio questa specifica, che apre al mondo delle bioplastiche e del compostabile, potrebbe esporre l’Italia al rischio di una procedura d’infrazione per essere andati contro le indicazioni europee.


Un altro problema riguarda la marcatura dei prodotti. Proprio in virtù dell’equiparazione di tutto il monouso plastico, anche sui prodotti compostabili è prevista la marcatura con i marchi:

Il rischio è che se il cittadino legge “plastica” al momento di gettare i rifiuti, possano finire nella plastica anche materiali che invece andrebbero nell’umido, o nella carta. Dunque, l’applicazione di una Direttiva SUP che nasce per ridurre i rifiuti e l’inquinamento in mare, finirebbe per abbassare la percentuale di rifiuti correttamente smaltiti e riciclati.

La Direttiva SUP nasce con l’idea di contrastare sì il monouso, ma poiché causa di inquinamento dell’ambiente marino e non solo. Sicuramente introdurre delle restrizioni alla produzione di monouso è il segnale, inequivocabile, che qualcosa deve muoversi. Ma il viaggio è appena cominciato. 

Quello che ancora manca oggi è un’efficace comunicazione al consumatore circa la gestione ed il riciclo dei rifiuti. 
Perciò, se semplicemente cambiamo o eliminiamo un materiale, è probabile che il problema della gestione impropria dei rifiuti rimanga. È necessario agire (se non ora, quando?) sugli aspetti momentaneamente trascurati della Direttiva SUP UE, cioè definire misure puntuali che assicurino la raccolta differenziata ed il riciclaggio, sensibilizzando i consumatori ad un uso ed uno smaltimento dei materiali sempre più consapevole.

Altrimenti domani potremmo trovare in mare i contenitori riutilizzabili, anziché quelli monouso...

La speranza è che sia davvero l’inizio di un’era plastic free.
E non una falsa partenza che, invece di catapultarci in avanti, ci ributti indietro ed annulli anche i (pochi) progressi già fatti.

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